Guerra della Nato, guerra per la Nato

Giuseppe Nardulli
Centro Interdipartimentale di Ricerche sulla Pace e Dipartimento di Fisica, Università di Bari

Per comprendere la natura e le caratteristiche della guerra in corso in Yugoslavia si possono considerare vari aspetti. Qui ne vorrei esaminare tre: quello umanitario, quello economico e quello politico. Del primo si è lungamente parlato, gli altri sono invece rimasti un po' in ombra. Dunque, è opportuno portarli alla luce.

La principale motivazione addotta per questa guerra è quella umanitaria; tuttavia sotto questo aspetto il conflitto appare difficilmente giustificabile. Infatti è indubbio che le condizioni dei kosovari sono enormemente peggiorate dopo l'inizio della guerra. D'altro canto in questi anni si sono visti eccidi straordinari: Cambogia, Ruanda (questi sì genocidi: 2,000,000 e 500,000 morti rispettivamente), senza che gli USA movessero un dito. Quando si invocano ragioni morali per iniziare una guerra occorrerebbe essere in grado di dimostrare che le azioni presenti sono coerenti con i comportamenti passati, altrimenti i richiami morali appaiono e sono ipocriti. L'appello ai principi umanitari, che, non casualmente, ha portavoce le forze di centro-sinistra, al governo quasi dappertutto in Europa ed in America, non deve lasciare tuttavia indifferenti chi, come noi, ha aderito alla causa della pace e ha scelto di stare dalla parte delle vittime e non degli oppressori. È ovvio che occorre aiutare in ogni modo gli sforzi delle associazioni umanitarie. Il problema è però un altro, e cioè se sia giusto far pesare nelle scelte di politica estera gli aspetti umanitari oltre una certa misura. I buoni sentimenti o gli aspetti umanitari, quando interferiscono con la conduzione della politica estera, ostacolano una analisi razionale della situazione ed il calcolo delle mosse dell'avversario, i soli comportamenti che possono impedire i disastri. Senza ovviamente rimpiangere il periodo della guerra fredda, possiamo oggi riconoscere che la guerra nucleare fu evitata (e l'Europa ha goduto di oltre 40 anni di pace) perché entrambi i contendenti si comportarono razionalmente e si aspettavano che l'avversario si comportasse secondo un calcolo politico. Importanti non erano tanto i missili nucleari, quanto il fatto che ci si atteneva a delle regole razionali, non emotive, al calcolo delle convenienze e della ragion di stato; ciò generava comportamenti prevedibili e risposte altrettanto razionali.

Le ragioni economiche, almeno per quanto riguarda l'importanza del Kosovo, sono secondarie: qui è una grande differenza con la guerra del Kuwait, che oltre ad essere più limpida dal punto di vista giuridico, era anche chiara nelle sue motivazioni economiche (il petrolio). Tuttavia le ragioni economiche sono importanti dal punto di vista della società americana nel suo complesso. Può essere utile ricordare che la spesa militare USA è enorme, circa 270 miliardi di dollari all'anno, 1/3 della spesa militare mondiale, il 3.3% del PIL americano, e che essa sostiene un apparato burocratico ed industriale immenso, in grado di condizionare in modo rilevante le scelte della politica estera americana. Non si tratta tanto di una influenza diretta del Pentagono, quanto dell'influenza indiretta che la forza militare USA ha sulla politica estera nel senso della sua militarizzazione, cioè di privilegiare, in generale, la soluzione militare sulla soluzione diplomatica (e di questa militarizzazione può essere interprete, come in questo caso, piuttosto il Dipartimento di Stato che non il Pentagono). Quindi anche le motivazioni economiche sono, in qualche forma, politiche e ci portano all'ultima serie di ragioni di questa guerra.

Non c'è dubbio, che, a livello politico, la responsabilità originaria di questa ennesima crisi balcanica è di Slobodan Milosevic. Non mi riferisco tanto alla crisi del Kosovo, nella quale ha giocato un ruolo negativo anche la nascita della resistenza armata dell'UCK e la conseguente crisi della politica non violenta di Ibrahim Rugova. Su questo penso che la NATO, più saggiamente di quanto non abbia fatto sinora, dovrebbe cercare di ricostruire una credibilità delle forze moderate, per non rimanere ostaggio degli estremisti dell'UCK. Le responsabilità di Milosevic sono in realtà originarie nel senso che, alla fine degli anni 80, Milosevic, attaccato da destra da parte dei leader nazionalisti serbi, decise di fare suo il loro programma panserbo e di togliere al Kosovo l'autonomia che Tito aveva assicurato a questa regione. In questo modo gli slavi del Sud, che, grazie ad un progetto politico comune di autogestione ed internazionalista, erano vissuti per 40 anni in pace, sono caduti preda della demagogia nazionalistica. Gli avvenimenti successivi sono ben noti: nel 1991 Slovenia e Croazia, guidate da leader nazionalisti, attuarono la secessione, seguite da Bosnia e Macedonia; in Croazia e Bosnia, poi, le popolazioni serbe, divenute improvvisamente minoranze, caddero a loro volta preda di leader nazionalisti ed imbracciarono le armi. Sono seguiti anni di guerre civili, fino agli accordi di Dayton, che hanno momentaneamente messo fine alla guerra di Bosnia, al costo però dello screditamento di Rugova, accusato dagli estremisti kosovari di non essere riuscito a far inserire la questione del Kosovo nell'agenda di Dayton, e della nascita dell'esercito di liberazione kosovaro. Quindi le responsabilità politiche di Milosevic sono chiare.

Ma le cause politiche della guerra vanno ricercate anche altrove. Esse sono apparse molte volte nel dibattito, nella veste dell'argomento della credibilità della NATO. L'argomento è il seguente. Poiché nei mesi passati la NATO ha fatto la voce grossa con Milosevic, se ora non avesse fatto seguire i fatti alle parole, la sua credibilità si sarebbe volatilizzata. Questo argomento ha una sua consistenza, ma ha un punto debole. Perché la NATO ha fin dall'inizio puntato su una strategia di intimidazione? È ovvio che in una strategia di questo genere bisogna essere pronti a passare all'azione, ma allora la logica vuole che la risposta militare debba essere minacciata al più alto livello possibile. Non si comprende cioè perché si è rifiutato a priori, e si rifiuta finora, l'attacco di terra che a detta del Pentagono è l'unico in grado di far vincere la guerra alla NATO. Occorre pensare a miopia e navigazione a vista? Non credo. Penso che la questione della NATO sia la questione principale sul tappeto per l'Occidente in questa guerra. Ma non la questione della sua credibilità, quanto piuttosto quella della sua stessa esistenza e del suo futuro. Mi spiego. Dopo la fine della guerra fredda, l'Alleanza Atlantica, nata nel '49 per impegnare gli USA nella difesa militare dell'Europa Occidentale dall'URSS ha perso la sua ragione di esistenza. Oggi che l'URSS non c'è più, la NATO o si rinnova o perisce. In particolare, se la NATO non fosse in grado di dire nulla su di un conflitto in Europa, sarebbe legittima la richiesta, per ora inattuale, del suo scioglimento.

Poniamoci la domanda: perché gli USA non rinunciano alla Alleanza Atlantica? In fin dei conti, essendo essi la potenza militare di gran lunga dominante, potrebbero curare da soli i loro interessi. Ma la fine dell'Alleanza atlantica porrebbe due grossi problemi agli USA. L'Europa dovrebbe badare da sola alla propria difesa. Essa ha la potenzialità per farlo, dal punto di vista economico e forse anche dal punto di vista militare (soprattutto le forze francesi e britanniche sono significative). Di questo gli USA sono consapevoli, ed una Europa superpotenza militare non è prospettiva a loro gradita. C'è un'altra ragione per cui la NATO è importante per gli USA: la Nato rappresenta la migliore giustificazione per il mantenimento della spesa militare USA, che, come si è detto, è enorme. Questa spesa non rappresenta uno spreco di risorse, almeno non dal punto di vista del funzionamento della società americana così come essa ci appare oggi (in realtà da almeno 50 anni). Si tratta di una spesa ingente che ha effetti macroeconomici importanti, nel senso di assorbire il surplus prodotto dall'economia americana (le analisi di Baran e Sweezy andrebbero aggiornate, ma non sono superate). Soprattutto si tratta di una spesa tecnologicamente orientata, che alimenta continuamente l'innovazione tecnologica nell'industria di punta americana (circa metà della spesa federale per R&D è spesa militare) e che è una delle cause della supremazia tecnologica statunitense nel mondo. E il mantenimento della NATO è la maggiore giustificazione per tenere in vita un apparato militare delle proporzioni che abbiamo descritto.

Queste ragioni possono spiegare l'interesse degli USA per tenere in vita e dare nuovo vigore alla NATO. Ma quale è la ragione per cui l'Europa è altrettanto legata alla NATO e partecipa con tanta convizione a questa guerra? Io credo che essa sia duplice. In primo luogo c'è la questione della disunione politica dell'Europa, nonostante il varo della moneta unica. La questione della formazione di forze armate europee porrebbe il problema nuovamente della leadership europea, che, oggi, è sostanzialmente in mano tedesca, ma con un peso francese non ininfluente. Inoltre autorizzerebbe un riarmo tedesco che pochi auspicano. Si capisce allora che lo smantellamento della NATO non sia oggi preso in considerazione da nessuna forza politica europea con rilevanti responsabilità di governo. In secondo luogo i potenziali dissensi USA-Europa non vanno sopravvalutati. È vero che ci sono contrasti anche aspri, soprattutto di natura commerciale e legati alla pretesa degli USA di dare valore extraterritoriale alle loro leggi punitive di alcuni paesi come la Libia o l'Iran. Ma sono molti anche i legami; in fin dei conti la mondializzazione dell'economia è un fatto reale ed è difficile distinguere chiaramente, quando si guardano agli interessi di aziende quali, ad esempio, la Ford, il punto in cui finiscono gli interessi americani e cominciano quelli europei. Infine, la disgregazione di entità statali significative ai loro confini, come l'URSS-Russia e la Yugoslavia, rafforza politicamente i paesi europei impegnati nel processo di costruzione dell'UE, prima fra tutti la Germania. D'altro canto, nell'invocare l'Europa contro gli USA, la sinistra dovrebbe evitare di scambiare i propri desideri con la realtà. Il processo di costruzione dell'unità monetaria europea non è stato politicamente neutro e ha rafforzato dappertutto nel nostro continente le destre, ovvero ha spostato i partiti socialisti europei su posizioni assai simili a quelle delle destre. Per queste ragioni, la guerra ancora in corso, e che ci auguriamo non si estenda ulteriormente, ci rimanda al tema continuamente rinviato, ma sempre più attuale, dell'inversione di tendenza nella costruzione dell'unità europea.

Bari, 12 aprile 1999.